Disturbo di panico

Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V) per fare diagnosi di disturbo di panico è necessario avere ricorrenti attacchi di panico inaspettati.
Un attacco di panico è definito come un periodo preciso di paura o disagio intensi che raggiunge il picco di paura in pochi minuti (attivazione emotiva rapida e molto intensa) e si manifesta con molteplici sensazioni somatiche e corporee spiacevoli (per es., tachicardia, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento e di svenimento, sensazione di distaccamento da se stessi, torpore o formicolio, brividi, vampate di calore).
Inoltre, almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese (o più) di uno o entrambi i seguenti sintomi: preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze; significativa alterazione disadattava del comportamento correlata agli attacchi (ad es., comportamenti pianificati al fine di evitare di avere attacchi di panico).
La diagnosi di Disturbo di panico prevede ricorrenti attacchi di panico (più di un attacco di panico inaspettato), ma anche preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi di panico o per le loro conseguenze (es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”).
In termini di frequenza, possono esservi attacchi moderatamente frequenti (per es., una volta a settimana) che si manifestano regolarmente per mesi, oppure brevi serie di attacchi più frequenti (per es., quotidianamente intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., ogni due mesi) per molti anni.
In termini di gravità, gli individui con disturbo di panico possono avere sia attacchi di panico completi (con quattro o più sintomi) sia attacchi paucisintomatici (con meno di quattro sintomi) e il numero e il tipo di sintomi dell’attacco di panico differiscono frequentemente da un attacco di panico all’altro.
Il disturbo di panico è la “paura della paura” dove l’individuo si spaventa della propria attivazione corporea connessa alla paura e questo lo porta all’attacco di panico. I timori relativi agli attacchi di panico o alle loro conseguenze riguardano solitamente le preoccupazioni fisiche, come il timore che gli attacchi di panico indichino la presenza di una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (per es., cardiopatia); le preoccupazioni sociali, come l’imbarazzo e la vergogna di essere valutati negativamente dagli altri a causa dei visibili sintomi di panico; e le preoccupazioni circa il funzionamento mentale (per es., impazzire, diventare matti).
L’individuo con disturbo di panico spesso “riadatta” la propria vita in funzione dell’ evitare un altro attacco di panico, può quindi limitare o eliminare l’attività e l’esercizio fisico, limitare la frequentazione di luoghi o situazioni percepite come pericolose, esplorare luoghi, posti o situazioni solo con la presenza di qualcun altro che funge da figura protettiva, limitare le consuete attività quotidiane (es. usare i trasporti pubblici, uscire a fare la spesa), ma anche “ipercontrollare” i segnali del proprio corpo (es. sentire se il proprio cuore batte forte).
La terapia Cognitiva Comportamentale inizialmente mira a ridurre la paura delle proprie sensazioni corporee insegnando tecniche funzionali di gestione dell’ansia. Quando la persona inizia a non essere più così spaventata dai propri segnali corporei (ossia li vede e li sente come normali manifestazioni corporee associate alla paura), si lavora insieme per riattivare quei comportamenti e quelle situazioni che prima venivano evitate o affrontate con intenso disagio.
Alcune delle tecniche utilizzate sono la psicoeducazione (per es., distinzione tra ansia sana e patologica, la curva dell’ansia e come l’evitamento potenzia l’ansia anticipatoria), tecniche di respirazione e rilassamento muscolare progressivo, tecniche di mindfulness (per es., prendere consapevolezza dei propri stati interni e di acquisire un nuovo modo di rapportarsi a questi stati mentali attraverso una presa di distanza da essi), tecniche di ristrutturazione delle false credenze (es., lavoro cognitivo sulla catastrofizzazione, sull’intollerabilità emotiva), tecniche di grounding (per es., radicare il proprio corpo e sviluppare o risvegliare le proprie risorse interne connesse a sensazioni di vigore, forza, capacità di tollerare e gestire).
Un aspetto secondario, ma importante della terapia, mirerà a sviluppare e incrementare stati del sé connessi a sensazioni e immagini di sé di capacità, adeguatezza, efficacia.