Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V), i disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti comprendono quei disturbi in cui l’esposizione a un evento traumatico o stressante è elencata esplicitamente come criterio diagnostico. La sofferenza psicologica che segue l’esposizione a un evento traumatico o stressante è molto variabile. In alcuni casi, i sintomi possono essere compresi all’interno di un contesto basato sull’ansia e la paura, tuttavia è frequente osservare negli individui con tale diagnosi sintomi di rabbia e aggressività esternalizzate, oppure sintomi dissociativi.
Il modello teorico sugli sviluppi traumatici di Liotti (Liotti, Monticelli, 2008) afferma che i processi dell’evoluzione, basati sulla selezione naturale, hanno prodotto strutture anatomiche e moduli funzionali, cerebrali e mentali specializzati in funzioni essenziali per la sopravvivenza. Tali moduli sono essenziali per la sopravvivenza e per la vita sociale. Ogni qual volta che un modulo si attiva, questo organizza le funzioni mentali e la condotta nella direzione di una meta corrispondente ad un sistema motivazionale, fino a che tale meta non è raggiunta o abbandonata. L’insieme dei diversi sistemi motivazionali costituisce un architettura gerarchica che riflette la sequenza con cui essi sono comparsi nell’evoluzione della vita sulla Terra. In particolare, gli esseri umani hanno un architettura gerarchica composta da 3 livelli diversi della motivazione umana. I sistemi motivazionali del primo livello corrispondono a moduli cerebrali che regolano diverse motivazioni, fra queste la più importante ai fini della comprensione delle risposte ai traumi è il sistema di difesa dell’incolumità. L’evoluzione ha selezionato tale sistema di difesa per garantire la sopravvivenza in un ambiente con pericoli e predatori. Tale sistema, motiva a cercare scampo – attraverso strategie molteplici, alcune diverse da specie a specie, ma che implicano tutte la lotta e la fuga – ogni volta che si incontrino eventi minacciosi per la vita o per l’incolumità. Complessi pattern emozionali e schemi corrispondenti di attivazione neurovegetativa accompagnano tali risposte. In una prospettiva evoluzionistica, è possibile ricondurre quasi tutti i sintomi dei disturbi correlati ad eventi traumatici ad una abnorme, persistente e durevole attivazione del sistema di difesa. I sintomi non sono solo riconducibili alla paura/fuga e alla predisposizione all’attacco (come ipervigilanza, iperattivazione neurovegetativa, irritabilità, paura ed evitamento di situazioni che ricordano l’evento traumatico), ma anche stati soggettivi problematici come le memorie intrusive, il rivivere il trauma, l’ottundimento e la dissociazione (Cantor, 2005).
Il sistema di difesa quando attivato da una minaccia grave che può essere sia relazionale che situazionale (ad es. genitore violento, incidente in auto) alla quale si è sopravvissuti, e anche da una minaccia mortale alla quale sia esposto un altro con cui si sia in stretta relazione affettiva (ad es. un familiare a rischio per la vita), implica una memorizzazione forzata e ripetitiva dell’evento traumatico. È questa la base per le memorie intrusive in cui l’individuo con disturbo traumatico rivive il trauma.
Un ruolo chiave nella genesi dei disturbi traumatici è la mancanza di supporto sociale in prossimità dell’esperienza traumatica (Brewin et al., 2000; Lauterbach et al., 2007a; Scarpa et al., 2006; Schumm et al., 2006). L’assenza di sostegno sociale impedisce infatti alla vittima del trauma di ricevere cure e aiuto non consentendo al sistema innato di attaccamento (ricerca di cure in qualcuno disposto a fornirle) di esercitare la sua azione mitigante l’attivazione del sistema di difesa. Infine, importante nella genesi dei disturbi traumatici è l’aver avuto esperienze precoci di attaccamento ai caregivers insicure o traumatiche (es., abusi, figure di riferimento neglect, tossicodipendenti, “minacciose e spaventose”..).
In riferimento alla terapia dei disturbi traumatici, il consenso degli esperti afferma che, se si intende mirare a una cura i cui effetti siano più stabili e profondi, è necessaria una psicoterapia individuale con l’eventuale supporto di una terapia farmacologica per gestire i sintomi più disturbanti (ISSTD, 2005; van der Hart et al., 2006). In generale la terapia procede per 3 fasi, ciascuna propedeutica alla successiva: la fase di sicurezza e stabilizzazione dei sintomi, la fase di integrazione delle memorie traumatiche e della parti del sé dissociate, e la fase di stabilizzazione e crescita delle abilità acquisite.
Le tecniche utilizzate nel trattamento dei disturbi dello spettro traumatico provengono dalla terapia cognitivo comportamentale, dalla mindfulness e dalla psicoterapia senso motoria.