Allattamento e relazione: la costruzione del legame attraverso l’alimentazione

Un bambino non nasce mai da solo: insieme a lui nasce anche una mamma, ed insieme a loro nasce inevitabilmente una nuova, importantissima relazione.

Fin dal primo momento in cui viene alla luce, infatti, fra la neomamma ed il suo piccolo si stabilisce un legame intimo e profondo, detto bonding, che induce e attiva nel caregiver i comportamenti di accudimento e protezione necessari per la sopravvivenza del neonato.

Nelle sue prime due ore di vita, il bambino si trova in uno stato di veglia tranquilla, in cui osserva e si mette in ascolto di ciò che di nuovo e inaspettato lo circonda: è in questa fase, particolarmente delicata, che avviene il suo primo contatto con il mondo. Sperimentare queste prime percezioni nel caldo e avvolgente abbraccio della mamma, a contatto con la sua pelle, il suo odore, la sua voce, è senz’altro l’esperienza più rassicurante che gli si possa offrire e rappresenta per entrambi la condizione maggiormente favorevole per la creazione di un primo legame stabile e positivo.

E perché il bambino appena viene per la prima volta appoggiato al petto della madre si dirige spontaneamente verso il suo seno? Non perché è affamato, bensì alla ricerca di quel legame fusionale in cui ha vissuto nei nove mesi precedenti e che è appena stato interrotto.  Non è dunque solo per regolare il senso di fame e sazietà che il neonato ricerca e stabilisce una connessione con la mamma: prima ancora che di nutrimento fisico, ciò di cui ha bisogno nei suoi primi istanti di vita ha a che fare con il nutrimento emotivo, che passa primariamente attraverso il contatto pelle-a-pelle e le sensazione corporee ad esso connesse.

Si può dire che lo sviluppo psicologico ed emotivo del neonato una volta venuto al mondo abbia inizio da lì, nella più o meno intensa rassicurazione che gli comunicano le sensazioni tattili e fisiologiche del suo primo incontro e interscambio con l’ambiente extra-uterino.

E saranno proprio quelle stesse sensazioni che, per tutto il periodo dell’esogestazione e oltre, faranno da tramite nella costruzione del legame con il caregiver e, attraverso di esso, della propria esperienza di essere nel mondo. All’interno di questo processo, il momento dell’allattamento, al seno o in formula, rappresenta uno degli aspetti preponderanti che veicolano la relazione affettiva fra il bambino e la sua mamma: attraverso la pratica dell’alimentazione, infatti, fra il neonato e il suo caregiver non avviene soltanto un passaggio di cibo, ma insieme ad esso anche (e si potrebbe dire soprattutto) uno scambio di contatti, gesti e sguardi che danno forma ad una specifica interazione diadica e fanno da imprinting al senso di intersoggettività, che altro non è che la conoscenza di sé e dell’altro all’interno della relazione. Innumerevoli studi ed evidenze scientifiche, all’interno del filone dell’Infant Research, hanno dimostrato come fin dalle prime settimane di vita il bambino sia guidato da una tendenza innata ad interagire con l’altro, che dà vita a veri e propri dialoghi sociali, in cui sguardi, sorrisi e vocalizzazioni, incontrandosi con gli input e le risposte dell’altro, modulano un ritmo ed uno stile interattivi specifici, che danno vita a determinate configurazioni di stati affettivi e mentali.

Una mamma che allatta rivolgendo lo sguardo al proprio bambino, tenendolo in una posizione confortevole, parlandogli con un tono di voce dolce, stabilendo di tanto in tanto un contatto con le sue manine e i suoi piedini, rispettando il ritmo di suzione che il bambino richiede, e sintonizzando ciascuno di questi comportamenti in funzione dei segnali (vocali, oculari e motori) che il neonato emette, favorisce pertanto l’instaurarsi di un legame fondato su un senso di sicurezza, armonia e connessione emotiva che permette al piccolo di sentirsi accolto, protetto e riconosciuto nei suoi bisogni primari, che hanno a che fare con la ricerca di intimità prima ancora che con quella di cibo come fonte di nutrimento fisiologico.

Di importanza cruciale in questo senso è anche l’allattamento a richiesta: allattare a seconda dei segnali di fame del proprio bambino non significa viziare e assecondare dei “capricci�?, quanto invece essere un caregiver responsivo che risponde in maniera puntuale e contingente ai bisogni del tutto naturali di un essere vivente che ha la necessità di ricorrere all’azione ed alla presenza dell’altro per regolarsi, sia nei suoi stati fisiologici che in quelli emotivi. Va assolutamente sfatato il mito secondo cui se i neonati piangono vanno lasciati piangere: in questo modo smetteranno di farlo soltanto perché avranno imparato che i loro sforzi sono vani in quanto non c’è nessuno disponibile a fornire conforto e rassicurazione, non certo perché si sentiranno meglio. Ne conseguirà lo sviluppo di strategie eccessivamente improntate all’autoregolazione, insieme all’emergere di rappresentazioni dell’altro come non affidabile e reattivo e di se stesso come agente non efficace, oltre che poco degno di ascolto e attenzione. Per poter maturare la sicurezza necessaria per cimentarsi nell’esplorazione graduale del mondo, invece, il bambino, fin dalle sue prime interazioni, necessita di sperimentare scambi il più delle volte sintonizzati, imparando per questa via ad attribuire implicitamente valore ai propri vissuti e costruendo nel tempo una rappresentazione del caregiver come base sicura pronta a fornire conforto, a cui poter sempre fare ritorno in caso di minaccia e pericolo.

Inoltre, lo stato di esasperazione in cui verserà il neonato se sarà stato lasciato piangere a lungo, lo renderà talmente esausto, confuso e disregolato tanto da non riuscire a placarsi a sufficienza per attaccarsi al seno o al biberon quando finalmente gli verrà offerto, così che il circolo interattivo con il caregiver farà fatica a ripararsi e riequilibrarsi, la mamma si sentirà inefficace e frustrata e i bisogni del piccolo rimarranno pressoché insoddisfatti.

Garantire attraverso l’allattamento un contatto costante ogni qualvolta il neonato lo richieda, permetterà invece alla relazione di consolidarsi ed il piccolo, sentendosi al sicuro, imparerà a ridurre spontaneamente la frequenza delle poppate, verso una progressiva e crescente separazione e differenziazione dalla mamma.

Inoltre, imporre delle tempistiche prestabilite all’allattamento, in durata e frequenza, rischia di influire ancora più negativamente sulla modulazione delle richieste del neonato e dunque, ancora una volta, sulla relazione: all’inizio della poppata il latte materno è infatti ricco di zuccheri, che saziano soltanto per un breve periodo, e povero di lipidi, che da un punto di vista nutritivo garantiscono invece tempi di tenuta più prolungati tra un pasto e l’altro. Imporre poppate troppo brevi, può quindi impedire al neonato di assumere un apporto nutritivo adeguato, e far ricomparire il senso di fame (ed il conseguente pianto ad esso correlato) a breve distanza di tempo, rendendo sempre più esausti sia il piccolo che la mamma. Allo stesso modo, l’allattamento scandito a orario, in cui la poppata viene imposta al bambino a prescindere che quest’ultimo ne faccia richiesta, farà sperimentare a quest’ultimo un vissuto di incongruenza fra i propri bisogni ed il comportamento di cura messo in atto dal caregiver. Stabilire rigidamente il ritmo delle poppate può pertanto instaurare fra adulto e bambino un circolo negativo di irritabilità, sfiducia e affaticamento reciproci, minando l’equilibrio della relazione.

Ovviamente, come per qualsiasi altra circostanza relazionale fra genitore e bambino, episodi occasionali e saltuari di rottura e de-sintonizzazione, se adeguatamente riparati, sono del tutto naturali e sostenibili, oltre che ampiamente comprensibili, soprattutto in questa fase di vita tanto gioiosa quanto faticosa; ciò che rappresenta un fattore di rischio per l’evolversi e il cristallizzarsi di svariate forme di malessere sia nel neonato che nel caregiver, oltre che nella rete sociale prossima che li circonda, è il ripetersi assiduo e costante di interazioni disfunzionali, che precludono all’adulto la possibilità di riconoscere i reali bisogni del piccolo e di prendersi cura adeguatamente anche dei propri.

Ricordiamoci che sentirsi stanchi, provati, impauriti e confusi una volta diventati neogenitori è una cosa che capita un po’ a tutti: le novità, gli imprevisti, le sfide e i cambiamenti sono tanti e l’ansia è sempre dietro l’angolo. L’importante è tenere monitorato l’evolversi di questi vissuti e, qualora se ne senta il bisogno, non avere timore a chiedere aiuto anche ad un professionista, affinché problemi inizialmente risolvibili non si cronicizzino in dinamiche relazionali dannose per il benessere e l’equilibrio di tutti i componenti della famiglia.

E i papà? Troppo spesso tenuti ai margini delle riflessioni che ruotano intorno al tema della perinatalità, anche i papà rivestono invece un’importanza cruciale nello sviluppo e nell’adattamento del neonato, oltre che nella costruzione di una relazione positiva fra il piccolo e la sua mamma. Insieme al neonato e alla sua mamma, nascono infatti anche il suo papà e il legame che li unisce. Anche il neonato e il papà hanno il loro bonding, che nasce nel momento in cui il padre può prenderlo in braccio per la prima volta e finalmente può guardarlo negli occhi. Ecco che entrambi si sentono visti e riconosciuti l’uno dello sguardo e nel corpo dell’altro.

I principi esposti finora, valgono anche nel caso della figura paterna nelle circostanze in cui sia lei ad occuparsi dell’allattamento tramite il biberon.

Inoltre, sebbene sia ancora un tabù la considerazione dell’evento nascita come una fase particolarmente difficile e faticosa per i neogenitori, i rischi cui è esposta soprattutto la mamma nei primi mesi di vita del suo bambino non sono affatto da sottovalutare: accanto all’immensa felicità che accompagna l’incontro con il proprio cucciolo, infatti, non mancano anche vissuti di grande fatica, frustrazione, mancanza di energie fisiche e mentali, senso di solitudine. A volte l’allattamento al seno fatica a decollare, e la mamma ha paura di non essere in grado di soddisfare adeguatamente le esigenze del piccolo. In tutti questi casi, la presenza di un partner supportivo e comprensivo e di una relazione di coppia soddisfacente rappresentano senz’altro un fattore protettivo rispetto all’evolversi di forme più serie di malessere nella mamma e di disturbi nella relazione con il bambino, che ne comprometterebbero l’adeguato sviluppo.

Ormai è ampiamente riconosciuto: ad un allattamento materno ben avviato e sereno il più delle volte corrisponde un legame di coppia e genitoriale saldo e collaborativo. E il vissuto di gratificazione del papà nel sentire di essere stato un aiuto fondamentale nel garantire il benessere del proprio bambino, non farà altro che rinforzare e rasserenare ulteriormente il loro legame, apportando benefici a tutti i membri della triade.

…In conclusione: neonato e caregiver sono entrambi partner attivi della relazione, che co-costruiscono attraverso il reciproco adattamento ai segnali dell’altro. L’allattamento è parte integrante di questa relazione e contribuisce pertanto alla costruzione dei significati che entrambi vi attribuiranno: come tale, è un incontro prezioso che va preservato e tutelato, mettendosi in ascolto sia di se stessi che di tutto ciò che di importante ha da comunicare, anche in questo frangente, il proprio bambino.